lunes, 28 de enero de 2013

Capitolo 3.


Era tutto assolutamente facile fino a non sapeva bene quando. Da piccola alzarsi, fare colazione, andare in macchina con papà o con mamma e arrivare lì era né più né meno che l'inizio di un altro giorno nel quale poteva giocare e imparare moltissime cose senza neanche rendersene conto. Tutto era come un intervallo infinito, vestita con il grembiulino rosa e le mani piene di colori. Ad un certo punto tutto finì, ma quando? Che giorno della sua vita aveva smesso di essere quella Maria sorridente e con l'apparecchio che non era mai triste né arrabbiata? Lei non era lei, si sentiva la stessa, pero non si sentiva uguale. Adesso le cose le sembravano o giuste o sbagliate. La maggior parte delle volte sbagliate, e non sapeva il perché. In più, quando qualcosa credeva non andasse bene, quasi sempre, si arrabbiava senza fare il minimo sforzo per arrabbiarsi.
Qualcosa dentro di lei, come nella bocca dello stomaco, si ribellava e quando se ne rendeva conto già era di cattivo umore. Ed il peggio era che il malumore influenzava tutto. Non contro qualcuno o con qualcosa. Il malumore era contro tutti e tutto. Ciascuno sembrava grasso, basso, sporco, malvestito... a nessuno gli stava bene niente, nemmeno a lei. Il cibo faceva schifo. Tutto. Qualsiasi. I film erano noiosi, le materie pessime. Il sogno che aveva da sempre di essere un medico le pareva così assurdo ed irraggiungibile. Ed adesso, tutti raggruppati che bloccavano la porta non ancora aperta, cazzo. Non potevano andare a fare comunella da qualche altra parte? Aveva preso le sue cose ed era uscita in modo meccanico. Nemmeno aveva aspettato Ana o Cristina. Nella strada, fuori dell'uscita della scuola, un sacco di idioti in moto facevano un gran casino per poi andarsene a tutto gas con la stupida della fidanzata dietro o fumavano come cosacchi e cosacche. Li odiava. Li odiava perché erano odiosi, però anche perché lei non montava su nessuna moto. Né ne aveva una. Né era capace di fumare e ridere e filtrare. Odiava tutto ciò, pero lo voleva fare. Aumentò il passo per allontanarsi il più veloce possibile da lì e non dover vedere come il suo ex pomiciava con Silvia come se la dovesse ingoiare e per non vedere come Lalo era nel centro dell'attenzione di tutto quel gruppo di imbecilli. Lui si passava la mano nei capelli e si lasciava ammirare mentre faceva l'interessante, che ipocrita...
<< Maria! Maria! >>, gridavano Ana e Cristina, mentre correvano verso di lei.
<< Diamine, pare che qualcuno ti stia dando la caccia! Dove vai così di corsa?!
<< Pff. >>
<< Ma che succede? Tutto bene? >>
Niente, che poteva mai succedere? Che era sabato. Zabato, como diceva un professore suo mezzo scemo, basso, grasso e molto strano, però che non riusciva a starle antipatico.
Era sabato ed adesso le rimaneva tutto un fine settimana da affrontare. Sapeva che tutti quelli della sua classe si sarebbero visti con gli amici delle altre scuole, pero ubriacarsi, andare in discoteca o semplicemente fare un giro. E lei sarebbe rimasta a casa, pero colpa di suo padre. Quel vecchio rigido e ormai fuori moda che non la lasciava fare niente. Quando comprarono il casale fuori della città, le parve una fantastica idea avere un giardino enorme ed una piscina ed un campo da tennis, però adesso non festeggiava più il suo compleanno con i suoi amichetti. Nessuno voleva andare in quel luogo pieno di genitori che controllavano qualsiasi cosa facessero. Suo padre non le lasciava la casa, ovviamente, non la lasciava andare al centro, non le comprava uno scooter e chiaramente non poteva tornare più tardi delle undici, quando gli altri iniziavano a uscire. Cosa mai poteva succederle? Guardò ad Ana ed a Cristina e le vino voglia di mandarle entrambe a quel paese. Loro non avevano fatto niente, certo, però Maria non aveva nessuno con chi sfogarsi perché suo padre era come il ghiaccio, sua madre una vigliacca e suo fratello... lasciamo stare. Quindi si girò e continuò a camminare sempre più veloce mentre guardava per terra. 

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